Dulce Esperanza Del Orbe ha 43
anni ed è di Santo Domingo. Ne aveva 19 quando incontrò un pescarese in
vacanza, idraulico, uomo di mezza età.
Era l’89, lei lasciò il lavoro, lo seguì. Tre anni di idillio, il primo figlio (’92), il secondo (’94), la crisi. Dulce voleva il matrimonio, il compagno no: «Vivevamo in campagna, non frequentavo nessuno, se protestavo mi ricordava che ero un’ospite, ingrata. Il permesso di soggiorno scaduto, non avevo lavoro».
Nel ’97, da sola, avvia la pratica per diventare cittadina italiana. Nel 2000 la coppia si divide. Dulce va in una casa famiglia, il giudice le affida i bambini e stabilisce norme rigide per gli incontri che i piccoli avranno con il papà.
Trova lavoro, frequenta i corsi professionali della Regione, mette casa a Pianella. Luce in fondo al tunnel? No, è un’illusione. Il 6 ottobre 2002 i bambini scompaiono, sottratti dal papà. Per rivedere il più grande Dulce dovrà attendere il 17 aprile di quest’anno. L’altro arriverà forse in estate. Nel frattempo la donna è tornata a Santo Domingo, si è sposata con un uomo anche lui di Pescara, insieme gestiscono una pensione e hanno avuto due figli.
Il resto lo racconta lei: «Un giorno del 2011, ero davanti al computer, ho visto che su Facebook mi cercava una ragazza, dall’Argentina. Domandava: sei la mamma dei miei amici? E faceva il nome dei miei ragazzi. Io sono rimasta due giorni davanti allo schermo, così, piangevo e ridevo. Non riuscivo a crederci». Che c’entra l’Argentina? «Il mio ex compagno portò lì i bambini, poteva farlo, lui era il padre e il passaporto era in regola. I miei figli hanno vissuto con lui e i suoi parenti. Li ha convinti che li avevo abbandonati, che non li avevo cercati, che non li amavo». E invece lei aveva denunciato la scomparsa dei bambini, aveva controllato ogni luogo: «Le ricerche non si sono mai fermate. Ho pianto allora, piango oggi. Immaginate che cos’è perdere due figli? Dirsi: è il giorno del compleanno, assomigliano a questi bimbi che escono da scuola, mi hanno dimenticato, mi pensano?».
I ragazzi si trovavano a Matriarca, un posto piccolo, vicino a Mar del Plata. All’inizio hanno vissuto una vita normale. Poi sono diventati fantasmi, non erano argentini ma neanche italiani. Fantasmi, appunto: «Mi hanno scritto: «Se hai ancora un cuore aiutaci a tornare in Italia». Pensavano sempre che io non li amassi. Mi sono rivolta di nuovo alla Polizia. Sono tornata a Pescara per le pratiche burocratiche». L’incontro con il figlio, 21 anni: «Ci siamo visti in Questura. Poche parole. Poi altre due volte, da soli. Sta zitto, piange. Vive con i parenti del padre, non con me. Ha bisogno dei suoi tempi per capire, non sa che farà del suo futuro. Lo stesso accadrà, forse, con il più piccolo quando arriverà». Conclusione: «Racconto questa storia per ringraziare la Polizia. Per dire alla gente: fidatevi degli agenti. E alle donne che si trovano nella mia condizione: non soffrite, non abbiate paura, non siate uccelli in gabbia. Cercate aiuto, c’è sempre una via d’uscita».
Era l’89, lei lasciò il lavoro, lo seguì. Tre anni di idillio, il primo figlio (’92), il secondo (’94), la crisi. Dulce voleva il matrimonio, il compagno no: «Vivevamo in campagna, non frequentavo nessuno, se protestavo mi ricordava che ero un’ospite, ingrata. Il permesso di soggiorno scaduto, non avevo lavoro».
Nel ’97, da sola, avvia la pratica per diventare cittadina italiana. Nel 2000 la coppia si divide. Dulce va in una casa famiglia, il giudice le affida i bambini e stabilisce norme rigide per gli incontri che i piccoli avranno con il papà.
Trova lavoro, frequenta i corsi professionali della Regione, mette casa a Pianella. Luce in fondo al tunnel? No, è un’illusione. Il 6 ottobre 2002 i bambini scompaiono, sottratti dal papà. Per rivedere il più grande Dulce dovrà attendere il 17 aprile di quest’anno. L’altro arriverà forse in estate. Nel frattempo la donna è tornata a Santo Domingo, si è sposata con un uomo anche lui di Pescara, insieme gestiscono una pensione e hanno avuto due figli.
Il resto lo racconta lei: «Un giorno del 2011, ero davanti al computer, ho visto che su Facebook mi cercava una ragazza, dall’Argentina. Domandava: sei la mamma dei miei amici? E faceva il nome dei miei ragazzi. Io sono rimasta due giorni davanti allo schermo, così, piangevo e ridevo. Non riuscivo a crederci». Che c’entra l’Argentina? «Il mio ex compagno portò lì i bambini, poteva farlo, lui era il padre e il passaporto era in regola. I miei figli hanno vissuto con lui e i suoi parenti. Li ha convinti che li avevo abbandonati, che non li avevo cercati, che non li amavo». E invece lei aveva denunciato la scomparsa dei bambini, aveva controllato ogni luogo: «Le ricerche non si sono mai fermate. Ho pianto allora, piango oggi. Immaginate che cos’è perdere due figli? Dirsi: è il giorno del compleanno, assomigliano a questi bimbi che escono da scuola, mi hanno dimenticato, mi pensano?».
I ragazzi si trovavano a Matriarca, un posto piccolo, vicino a Mar del Plata. All’inizio hanno vissuto una vita normale. Poi sono diventati fantasmi, non erano argentini ma neanche italiani. Fantasmi, appunto: «Mi hanno scritto: «Se hai ancora un cuore aiutaci a tornare in Italia». Pensavano sempre che io non li amassi. Mi sono rivolta di nuovo alla Polizia. Sono tornata a Pescara per le pratiche burocratiche». L’incontro con il figlio, 21 anni: «Ci siamo visti in Questura. Poche parole. Poi altre due volte, da soli. Sta zitto, piange. Vive con i parenti del padre, non con me. Ha bisogno dei suoi tempi per capire, non sa che farà del suo futuro. Lo stesso accadrà, forse, con il più piccolo quando arriverà». Conclusione: «Racconto questa storia per ringraziare la Polizia. Per dire alla gente: fidatevi degli agenti. E alle donne che si trovano nella mia condizione: non soffrite, non abbiate paura, non siate uccelli in gabbia. Cercate aiuto, c’è sempre una via d’uscita».