Ecco
il parere di alcuni medici esperti e ricercatori quali cure loro eviterebbero,
e molto spesso si tratta di andare contro il modo di vedere più consolidato.
Uno Psichiatra che non assumerebbe
mai antidepressivi
La
Dott.ssa Joanna Moncrieff è senior lecturer in psichiatria presso il London
University College ed autrice di «The Myth Of The Chemical Cure» [Il
mito delle cure chimiche].«Esercito nel campo della psichiatria da oltre 20
anni, e per la mia esperienza gli antidepressivi non fanno nulla di buono. Non
li assumerei in nessuna circostanza, nemmeno se fossi a rischio di suicidio. Tutti
gli studi mostrano che – nel migliore dei casi – gli antidepressivi ti fanno
sentire un po’ meglio di quanto non farebbe un placebo, il che non significa
che curino la depressione. Dopo anni di scannerizzazione del cervello, non
abbiamo una sola prova che la depressione sia collegata ad un qualche
squilibrio chimico cerebrale, dunque è discutibile l’idea in sé di trattarla
con sostanze chimiche.Ritengo la depressione una reazione estrema alle
circostanze, ed il modo migliore per uscirne è di eliminare le cause, il che a
volte vuol dire psicoterapia, a volte modificare la situazione trovando un nuovo
lavoro o risolvere i problemi relazionali. Naturalmente esistono alcune persone
che sono depresse senza un apparente motivo, ma ugualmente non abbiamo ancora
alcuna prova né che soffrano di un disturbo cerebrale né che gli antidepressivi
siano loro di aiuto. La cosa migliore rimane cercare e trovare delle novità che
spezzino i circoli viziosi nel pensiero e nel comportamento. Gli antidepressivi
sono delle sostanze psicoattive, che alterano la mente come fanno l’alcool o la
cannabis ed io ho sempre pensato che se fossi stata depressa avrei voluto
conservare tutta la mia lucidità e le mie facoltà per venir fuori dal pantano e
non il ritrovarmi immersa in una nebbia farmacologica della quale non avrei
nemmeno capito gli effetti».
Cardiologi che rifiutano le statine
Professor
Kevin Channer, cardiologo presso il Claremont Hospital di Sheffield
«Le
statine hanno avuto un grosso ruolo nella riduzione degli attacchi cardiaci e
degli infarti ed ora c’è una certa tendenza a prescrivere a tutti questo
farmaco che abbassa il colesterolo ma io non le assumerei nemmeno una sola
volta senza avere prima una prova convincente che il rischio vale il gioco:
ogni volta che si prende un farmaco, bisogna ben soppesare rischi e benefici.
Le statine riducono le probabilità di attacco cardiaco od infarto nella misura
del 30%, dunque sì, c’è un vantaggio. Ma in termini reali è minimo:
statisticamente, quale uomo di 60 anni non fumatore ed in buona salute, il mio
rischio di attacco cardiaco od infarto è dell’1% su base annua. Assumendo statine
scenderebbe allo 0,70%, che è ugualmente basso ma, avendo passato la vita a
prescrivere statine, ne conosco molto bene gli effetti collaterali negativi:
dolori muscolari, debilitazione generale, mal di stomaco. Alcuni sostengono che
andrebbero prescritte quando il rischio è all’1,5%, ma io non la prenderei in
considerazione se non correndo un rischio del 3%. Tutti quelli che hanno avuto
un attacco cardiaco od un infarto hanno un rischio del 3% e quindi il rischio
dei dolori vale il prezzo dei benefici. Dall’altra parte però, assumerei – e li
assumo – farmaci che abissano la pressione; i mie valori personali sono solo al
limite e, quale cardiologo, so che con gli anni questi valori pressori non
potranno che salire e le ricerche dimostrano che più bassa è la pressione, più
vivrai a lungo. Inoltre mentre i vecchi farmaci causavano effetti collaterali,
i nuovi – che bloccano i recettori delle angiotensine – personalmente non mi
causano il minimo problema».
Specialista della prostata che non fa
il test PSA
Richard
Ablin, professore di patologia presso l’University of Arizona College of
Medicine.
«Quando
nel 1970 ho scoperto il PSA, cioè l’antigene specifico per la prostata, ci
rendemmo subito conto che sarebbe stato di grande aiuto per i pazienti con
tumore alla prostata. La proteina è specifica per la ghiandola prostatica, non
si trova infatti in quantità significative in nessun altro organo. Però, se si
rimuove la prostata ad un uomo con tumore, grazie alla nostra scoperta si può
testare la PSA e verificare se, dopo l’intervento, sono rimaste altre cellule
tumorali non individuate prima. Poi hanno iniziato ad usare il test PSA per la
diagnosi del tumore alla prostata. Un grosso errore: il PSA non è
tumore-specifico, è semplicemente una proteina prodotta dalla prostata e suoi
alti livelli possono indicare “solo” un’infezione alla prostata od un suo
allargamento, che a volte è benigno. I livelli “normali” poi variano
grandemente da persona a persona e non esiste un valore soglia che significhi
che “hai un tumore”. Il test nemmeno distingue fra un tumore prostatico a
crescita lentissima ed uno aggressivo a crescita violenta. Ad ogni modo è stato
adottato come modo per diagnosticare il cancro alla prostata e così milioni di
maschi sono stati curati eccessivamente e spesso con effetti collaterali tanto
debilitanti quanto non necessari. Mi sottoporrei ad un test PSA solo dopo un
trattamento per un tumore alla prostata o se fossi a rischio per una
famigliarità con esso e vi ricorrerei – a scopo diagnostico – in combinazione
con altri test, tipo un esame rettale».
Il Professore che dice che l’attività
fisica, da sola, non basta
Jack
Winkler, esperto di salute pubblica ed ex professore di politiche nutrizionali
presso la London Metropolitan University.
«Per
perdere peso devi bruciare più calorie di quante ne assumi = mangia di meno.
L’attività fisica può impedire che mettiate su peso solo se mangiate poco di
più del necessario. Ma se siete sovrappeso, mi spiace ma non sarà nemmeno
lontanamente sufficiente. Ti mangi a pranzo un panino da 300 calorie? Per
compensare devi nuotare per più di un’ora. Per perdere peso, devi bruciare più
calorie di quante non ne immagazzini, e l’unico modo è ridurre la quantità dei
cibi assunti, questa è la realtà fondamentale. Aggiungere dell’attività fisica
è comunque sempre una buona idea, anche perché apporta molti altri benefici».
Il Chirurgo ortopedico che evita i
raggi X
Chris Walker, chirurgo
ortopedico presso il Liverpool Bone and Joint Centre.
«Troppo
spesso, quando i pazienti lamentano dei dolori e vogliono si faccia qualcosa, i
medici li mandano a fare delle lastre e si finisce con una diagnosi di artrite.
Al che la gente tende a perdere il controllo e diventare vittima: assume
anti-infiammatori (con effetti collaterali gastrointestinali), si allarma
all’idea di fare attività fisica e la loro vita si impoverisce in senso lato.
Ecco perché, a meno che non ci siano sintomi allarmanti di artrite – tipo
dolore costante o notturno – io eviterò di far fare delle lastre. Con l’età la
maggior parte della gente ha qualche problemino alle articolazioni: la cosa
migliore da fare è fare del movimento. Le giunture amano il movimento, quello
che le danneggia sono la corsa ed i salti ma camminare, nuotare ed andare in
bicicletta riducono il dolore e la rigidità e rallentano il manifestarsi
dell’artrite. Mantenendosi attivi si perde peso, cosa che è di grandissimo
aiuto, e non si finisce depressi perché si è troppo impegnati con la vita».
Un dietologo che non seguirebbe una
dieta
Il
dottor Ian Campbell è l’ideatore di Bodylibrium, un programma di dimagrimento. «Tutte
le prove indicano che sul lungo periodo raramente una dieta funziona. Ho
lavorato per decenni nell’aiutare la gente a perdere peso e la mia esperienza è
che l’unico modo per ottenere risultati veramente duraturi è chiedersi:
«Perché? Perché mangio del cibo che mi consola? Perché preferisco il cibo
grasso? Perché bevo tanti alcolici? Perché l’attività fisica non mi attira?».
Quello che aiuta veramente la gente a perdere peso in modo efficace è dato da
tecniche di modificazione comportamentale (simili alla terapia
cognitivo-comportamentale), insieme all’impiego di “strategie”, ad esempio un
diario giornaliero di cosa mangiamo e con obbiettivi realistici. Le diete che
incoraggiano degli approcci polarizzati, cioè tutti incentrati su di un
aspetto – tipo riduzione dei carboidrati, le diete 5:2 o qualunque altro
approccio riduzionista, produrranno solo risultati temporanei che vi condurrà a
recuperare il peso perduto».
Lo specialista che dice di lasciar
star con le maratone di mezza età
Jeremy
Latham, chirurgo ortopedico focalizzato sull’anca, opera presso l’University
Hospital Southampton.
«Vedo
di continuo persone nei loro 40 e 50 anni che si sono massacrate le
articolazioni a causa di una crisi di mezza età che le ha portate a correre una
maratona od una gara ditriathlon. Bel dilemma, visto che ci sono prove
documentate che correre faccia bene alle articolazioni, ma se si va verso
l’inverno e non siete allenati, rischiate di accelerare qualsiasi disturbo
nascosto a ginocchia o fianchi. Se state entrando nella mezza età e volete
dimagrire e rimettervi in forma, il mio consiglio è di camminare, nuotare od
andare in bicicletta, che sono tutte attività gentili con le articolazioni. Ho
un vogatore che uso 2 o 3 volte la settimana: è un’ottima attività per il cuore
e le parti alte e basse del corpo e non sovraccarica le articolazioni».
La dietologa che non vuole mangiare
cibo con grassi ridotti
Elena
Bond, dietologa
«Giro
alla larga dal cibo etichettato “a basso contenuto di grassi” e nemmeno lo
darei ai miei figli. Le etichette possono essere veramente molto fuorvianti. Una
maionese od un formaggio cheddar “a basso contenuto di grassi”, per esempio,
continuano ad essere molto grassi, ne hanno solo meno rispetto alla precedente
“ricetta”.Un biscotto digestivo light della McVitie, ha dunque 78
calorie invece delle 86 del tipo “base”, si tratta di solo 8 calorie in meno.
Mangio alimenti con pochi grassi o del tutto privi, esempio gli yogurt, ma
quando si tratta di “a basso contenuto di grassi”, vale la pena controllare
l’etichetta anche per vedere con cosa hanno sostituito il grasso: spesso si
tratta di zucchero usato per compensare la perdita di gusto».
Lo specialista di asma che vuole
eliminare gli inalatori
Mike
Thomas, docente di ricerche nella prima assistenza e specialista in medicina
della respirazione e terapie dell’asma presso la University of Southampton.
«Molti
diventano troppo dipendenti dagli inalatori e finiscono nel panico se non ne
hanno a portata di mano. L’uso quotidiano aumenta il rischio di attacchi gravi
e gli effetti collaterali degli alti dosaggi di steroidi includono
l’assottigliamento delle ossa, la facilità di ecchimosi ed un aumentato rischio
di diabete e di pressione alta. Pertanto, invece di permettere che le persone
diventino sempre più dipendenti dagli inalatori, sto collaborando con il
Governo in una ricerca volta al verificare come dei semplici esercizi di
respirazione combinati con il controllo dell’ansia, possono migliorare il
controllo dell’asma. Una volta che i pazienti vivono meno drammaticamente gli
episodi di asma, ricorrono meno agli inalatori. Se avessi l’asma, vorrei
imparare come gestirla autonomamente, come migliorare la qualità della vita e
diminuire l’assunzione di farmaci».
Lo scienziato dello sport che ritiene
inutili i lunghi allenamenti
Stuart
Phillips, professore di sport ed attività fisica presso la sLoughborough University
«Da
giovane giocavo a rugby e ad hockey su ghiaccio e correvo con regolarità. Ero
un po’ gasato e ripetevo che un allenamento aveva senso solo se si protraeva
per almeno un’ora ed alla fine eri bagnato di sudore. Oggi penso che allenarsi
per più di un’ora sia una perdita di tempo perché i dati mostrano che sono
ugualmente produttivi dei periodi di intensa attività della durata di 10
minuti. Studio sia i benefici fisici che quelli psicologici dell’attività
fisica ed i benefici in più prodotti da periodi che eccedono l’ora sono
piuttosto marginali».
Lo specialista del sonno che non
prenderebbe sonniferi
Dr
Guy Meadows, specialista del sonno e fondatore della Scuola del Sonno
«I
sonniferi minano la fiducia nella capacità naturale di addormentarsi e possono
produrre dipendenza psico-fisica. Si inizia col pensare che: “se non prendo una
pillola non mi addormenterò”. E così il corpo si aspetta di ricevere un
sedativo. E tu corri il rischio di ritrovarti con un’insonnia di rimbalzo
quando ne cessi l’assunzione, il che spiega perché così tante persone siano nei
guai quando vogliono smettere. Gli effetti collaterali includono: capogiri, mal
di testa, perdite della memoria, senso di rimbambimento. Studi recenti mostrano
che i sonniferi forniscono dai 20 ai 30 minuti di sonno in più ma che aumentano
di 4 volte il rischio di morte. Per me questo annulla pesantemente i benefici.
Inoltre non è un sonno né naturale né di ristoro e questo perché altera
l’“architettura del sonno” limitandone la profondità ed interferendo con il
sonno REM, necessari per sentirci riposati al risveglio. In alcuni casi, come
quando la carenza di sonno è la seria conseguenza di gravi traumi, sono i
sonniferi a dare la possibilità di questo recupero fondamentale. Ma non è la condizione
nella quale si ritrova la gran maggioranza della gente».
Il chirurgo che consiglia di evitare
le punture di steroidi nei piedi
Andy
Goldberg, chirurgo ortopedico presso il Wellington Hospital di Londra
«I
dolori ai piedi od ai calcagni sono il principale motivo per una visita
ortopedica. Un trattamento usato spesso per ridurre le infiammazioni consiste
nelle iniezioni di steroidi ed è l’incubo della mia vita professionale. Se
l’iniezione finisce dentro o vicino ad un tendine ne può causare la rottura ed
al danneggiamento del piede. Se gli steroidi finiscono nel posto sbagliato,
possono danneggiare il “tappetino adiposo” sotto al calcagno, che normalmente
assorbe i colpi durante il corre od il saltare. Se questo “tappetino” è
danneggiato, il paziente si ritrova a camminare sulle proprie ossa senza una protezione:
fa un male cane e non esiste cura. Ci sono ovviamente casi nei quali gli
steroidi aiutano: per esempio per trattare le articolazioni infiammate
nell’artrite; ma procederei solo sotto la guida degli ultrasuoni usati da un
radiologo esperto. Nella maggior parte dei dolori al piede ed al calcagno si
può dare aiuto con lostretching, col cambiare calzature o col riposo. Gli
steroidi dovrebbero essere solo l’ultima risorsa».
Fonte: STAMPA LIBERA