giovedì 11 luglio 2013

RICERCATORI GIAPPONESI DICHIARANO CHE LE STAMINALI FANNO RICRESCERE IL FEGATO



Si ha necessità di organi per i trapianti. E le cellule staminali potrebbero essere una risposta alle liste d’attesa. Dopo il rene, anche il fegato si configura nell’elenco degli organi passibili di ricrescita a partire da staminali pluripotenti indotte (iPS), cellule “germinali” generate a partire da cellule adulte, come quelle della pelle, riprogrammate in laboratorio affinché si sviluppino nelle linee cellulari volute.
I ricercatori dell’Università di Yokohama, in Giappone, hanno effettuato un esperimento nei topi, valutando la possibilità di rigenerare il fegato, organo che in natura ha già una caratteristica rara, quella di poter ricrescere.
Tanto che la chirurgia permette oggi di asportare sino al 75% della sua massa, preservando naturalmente la funzionalità della ghiandola chiave per molte funzioni dell’organismo, dalla digestione al controllo degli zuccheri, fino alla depurazione di sostanze tossiche. Ma il fegato è anche un organo fittamente vascolarizzato e tale condizione è la vera sfida per gli scienziati e per la Medicina rigenerativa.
I ricercatori giapponesi hanno sviluppato in principio delle staminali differenziate nell’endoderma, il “foglietto” di cellule interne che sono un’attrazione per la struttura dei vasi sanguigni. Su questa struttura iniziale hanno seminato cellule endoteliali ottenute da cordone ombelicale o dal midollo osseo, considerate tra le più adeguate alla riprogrammazione “staminale”. Questo mix si è dimostrato efficace al fine di auto-organizzarsi per permettere al fegato di svilupparsi. I ricercatori stanno, tuttavia, testando le diverse opzioni per permettere l’attecchimento dei fattori di crescita e delle staminali nell’addome.
Takanori Takebe, coordinatore della ricerca, ha spiegato che “Il prossimo passo sarà quello di provare a infondere le gemme attraverso il flusso sanguigno. Il trapianto di ‘gemme’ epatiche può essere una soluzione per l’insufficienza epatica. Questa stessa tecnica si potrà sperimentare per pancreas, reni e polmoni”.
Il numero di casi di Epatite C, intanto, è sempre critico. La malattia è una delle cause prevalenti di danni permanenti al fegato. L’Italia detiene il record in Europa di persone infette dal virus, 1.6 milioni di persone, pari al 3% della popolazione. 

LE 12 VERITÀ DA CONOSCERE E CHE L’INDUSTRIA DEL TABACCO NON VI DICE



Ci sono delle ‘verità’ che i leader dell’industria non sveleranno mai. Ecco un pò di cose che i fumatori accaniti (in particolar modo quelli più giovani) farebbero bene a conoscere.



1. Le condizioni di salute correlate al fumo sono una delle principali cause di morte negli Stati Uniti, pari a quasi uno su cinque decessi all’anno.



2. Ogni anno, il consumo di tabacco uccide più americani dell’HIV, della droga e dell’abuso di alcool. Il consumo del tabacco provoca più vittime all’anno rispetto a quelle di suicidi, omicidi e incidenti stradali messi insieme.



3. Il fumo passivo conta circa 50.000 morti negli Stati Uniti ogni anno.

4. Il fumo di sigaretta emette quasi 8 miliardi di chilogrammi di gas serra all’anno.



5. La coltivazione del tabacco contribuisce alla deforestazione, alla distruzione di più di 500.000 ettari di foresta all’anno, secondo Examiner.com.



6. Se i coltivatori di tabacco in tutto il mondo avessero coltivato cibo, avrebbero potuto nutrire più del 70 per cento dei 28 milioni di persone malnutrite al mondo.



7. Nel 2012, le società di sigarette hanno speso quasi 27 milioni dollari di lobbying tra agenzie governative e membri del Congresso, secondo OpenSecrets.org.



8. Le grandi compagnie del tabacco commerciano velatamente ai ragazzi, nonostante pubblicamente affermino che i giovani non dovrebbero fumare.



9. Ogni anno, l’industria spende più di $ 400 per cliente a promozioni speciali, coupon, mailer e altri sforzi di marketing diretto per assicurarsi che i fumatori attuali non abbaondonino le loro dipendenze.



10. Attualmente, le aziende stanno spingendo la costosa e non regolamentata e-cigarette. Si tratta di un “kit di base” – che comprende un dispositivo d sigaretta elettronica, batterie, cartucce di nicotina e altri accessori. Può costare fino a $ 100.



11. Oltre a ciò, c’è da dire che le sigarette elettroniche sono offerte in una varietà di sapori che i bambini e gli adolescenti possono trovare particolarmente attraenti. Tra questi sapori troviamo la ciliegia, l’uva, la vaniglia e la fragola.



12. Gli effetti sulla salute delle sigarette elettroniche sono ancora sconosciuti. Associazioni mediche ed enti regolatori sono preoccupati che l’e-cigarette non sono altro che un “gateway” per una dipendenza da nicotina. 

sabato 6 luglio 2013

Vi hanno mai chiesto il CAP alla cassa? Ecco perché lo fanno



La richiesta del codice di avviamento postale alla cassa è insolita, ma esiste. Spesso si cede, ma di fondo sarebbe meglio non farlo. Un articolo su Forbes rilancia questo problema, molto sentito in America, dove ha prodotto anche pronunciamenti in campo giuridico. Lo scopo della richiesta non è difficile da intuire, è per fini di marketing, ma, come spiega il grande magazine americano, ci sono dei limiti entro i quali il cliente deve porsi delle domande.
Spesso infatti il cap, o zip code in America, è solo l’ultimo processo di ricostruzione dell’identità del consumatore, e permette di risalire all’indirizzo, al numero di telefono, se l’impiegato di vendita ricorda il nome sulla carta di credito quando si “striscia” per pagare. Compagnie di marketing come Harte-Hanks offrono servizie di GeoCapture, in grado di abbinare le informazioni complessive, zip code compreso, per restituire il profilo individuale dell’utente. I clienti spesso accettano passivamente, pensando che sia parte di prassi poco nocive, eppure, nel caso americano, la legge parla in loro favore.
Una donna, che ha fatto causa a una catena californiana sostenendo di aver dato il codice pensando che fosse necessario ma solo ai fini della transazione, ha avuto ragione dalla Suprema corte dello Stato della California, che ha stabilito che i negozi non possono chiedere ai clienti di fornire, per obbligo, lo zip code. Al verdetto ha fatto seguito la norma secondo cui è vietato raccogliere informazioni che mirano alla identificazione personale durante i processi di transazione per pagamenti.
Ovviamente non è pensabile che tutte le aziende si comportino allo stesso modo anche perché i servizi che associano informazioni sono costosi e inutili se è poi difficile commercializzare i dati. Fatti i dovuti scrupoli, a che serve allora chiedere lo zip code o il cap? A comprendere il comportamento dei clienti, per capire i dati demografici di mercato, per stabilire al meglio l’allocazione delle risorse di advertising.
Lo stesso vale in Italia, dove il fenomeno sarà meno pervasivo, ma sempre mirato a capire il bacino d’utenza, soprattutto nell’ambito della gdo. Se si spende lontano dalla zona di residenza, vorrà pur dire che la proposta funziona oltre il bacino fisiologico di riferimento. Il fenomeno viene quindi indagato attraverso l’analisi dei bacini di utenza, di fatto aree territoriali definite sulla base della distanza temporale da una localizzazione specifica, superando quindi i normali confini amministrativi.
Quindi, individuata la localizzazione geografica, il geomarketing mostra dove risiedono i potenziali clienti, dove e chi sono i concorrenti principali, quali altri clienti potenzialmente potrebbero afferire da quel bacino di utenza, il confronto delle diverse quote di mercato date dal parallelo tra bacini di collo.

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