sabato 22 giugno 2013

SECONDO UNO STUDIO, PIÙ SI È INTELLIGENTI E PIÙ SI È SOGGETTI A DEPRESSIONE E ANSIA



Ad affermarlo è un recente studio, secondo il quale chi gode di una certa capacità intuitiva e ne usufruisce per curare delle persone con dei problemi, ed ha dunque l’opportunità di analizzare e comprendere appieno i loro problemi e le loro sofferenze, ha evidentemente una sensibilità maggiore, e ciò lo porta ad una consapevolezza dannosa proprio per se stesso.
In poche parole, venire a conoscenza di certe malattie e di certi sintomi, e comprenderne le cause, non è assolutamente positivo, soprattutto per alcuni soggetti. Se pensavate che alcune “cattive” abitudini, come quelle legate al mondo della droga, fossero caratteristiche da attribuire solo ai ceti più bassi, e dunque teoricamente meno acculturati, questo è stato ormai confutato.
Ciò che accomuna le grandi menti a quelle più volubili è la curiosità: grazie allo studio condotto da alcuni scienziati dell’Università di Toronto e del Mount Sinai Hospital, è stato finalmente compreso il legame tra la curiosità e l’intelligenza, che sarebbero legate proprio a livello molecolare da una proteina in una zona del cervello di cui finora non si sapeva proprio nulla. Tale proteina controllerebbe entrambi i caratteri umani.
Quindi, nonostante la cultura sia il fondamento della società, più si accresce il proprio quoziente intellettivo più vi è la possibilità di andare incontro a condizioni sfavorevoli quali la depressione e l’ansia.
È proprio per questo che tantissime persone intelligenti cadono nel mondo della tossicodipendenza, o in quello dell’alcol: secondo alcuni scienziati britannici, le persone intelligenti hanno una probabilità più alta di essere ubriachi, ad esempio, il sabato sera. Ecco, proprio qui si trova il nesso tra sofferenza e intelligenza.

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